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Trekking Colle Sant’Angelo

Trekking Colle Sant’Angelo

Viaggio nel tempo tra Borghi, Castelli e antiche civiltà

Questo itinerario di Trekking rappresenta un vero e proprio un viaggio nel tempo che farà vivere agli escursionisti la storia incredibile di questa città.

Si parte da Piazza Progresso dove é possibile ammirare il palazzo di città; la denominazione PALAZZO DI CITTA’ non é casuale ma e stata voluta dai lungimiranti amministratori dell’epoca per rendere l’idea di un Municipio a disposizione del popolo. Questo complesso, costituito dalla torre dell’orologio civico e dal municipio venne realizzato dal famoso architetto Ernesto Basile. Le campane dell’orologio, contenute da una gabbia in ferro battuto, risalgono al 1777 e provengono dall’orologio seicentesco che si trovava nella torre del cosiddetto Castel Nuovo, uno dei tre castelli di Licata. Arrivare alla sommità della torre è possibile attraverso una bellissima scala a chiocciola di pregevole fattura architettonica.

Il viaggio nel tempo inizia e finisce qui; infatti il Palazzo di Città è posto sul confine delle mura della antica città greca é sul punto di partenza dell’espansione cittadina dei tempi moderni.

La prima sosta è dinnanzi a quello che probabilmente è il più sontuoso dei palazzi costruiti all’inizio dell’800 appena fuori le antiche mura della città. Edificato in elegante stile Liberty con colonnato nella parte centrale, rappresenta l’ala avanzata è più moderna del retrostante ed antico palazzo, voluto dalla famiglia CANNARELLA. Il contatore del tempo ci porta al periodo dello sbarco di Garibaldi in Sicilia: infatti, sbarcato Garibaldi a Marsala, Licata insorge al suo fianco ed invia un proprio drappello di uomini armati al seguito del Generale il quale manda in visita a Licata Ciro Menotti e Nino Bixio; costoro furono ospitati nella notte del 20 luglio 1860 proprio nel palazzo del marchese Cannarella.

Da qui si parte alla volta del Borgo San Paolo, in pieno centro storico, sede ancora oggi di una delle più antiche botteghe di “CALZOLAIO”. Questo borgo occupa le pendici nord-orientali di quello che fù il fulcro della civiltà Licatese denominato Colle Sant’Angelo. Il quartiere fù edificato alla fine del ‘500 in prossimità dell’antica chiesa di Santa Agrippina, che in seguito fu dedicata a San Paolo, protettore di Malta. In quel periodo furono ricostruite le mura distrutte dall’ennesimo invasore e venne edificata una poderosa torre di guardia sulla sommità del colle Sant’Angelo, che si raggiungerà successivamente. La popolazione licatese, nonostante la decimazione subita al tempo per un’altra invasione ad opera del feroce pirata Dragut, era cresciuta di numero nel volgere di pochi decenni. E ciò grazie anche ad una immigrazione di cittadini maltesi (1565) approdati a Licata per mettersi in salvo dalle continue aggressioni della flotta ottomana. La colonia maltese, incrementatasi ulteriormente, chiese ed ottenne dalla municipalità di allora il permesso di costruire che gli fu accordato a patto che ciò avvenisse fuori dalle mura cittadine. Questo diede origine al primo borgo extra murario di Licata denominato appunto Borgo San Paolo, detto anche “QUARTIERE DEI MALTESI”.

Alla fine della salita attraverso il quartiere San Paolo, passando per il il Piano di San Calogero, che ospitò l’eremo del Santo e fù teatro del miracolo della cerva, si arriva cronologicamente alla metà del 500. Da qui si potranno osservare dei segni di una Licata rupestre, una città in cui i suoi abitanti vivevano all’interno di grotte. Una delle prime testimonianze rupestri è la chiesa intitolata a San Calogero che fù scavata nella roccia dai monaci Calogerini . Nel 700 questo santuario venne inglobato in una chiesetta rupestre che oggi, purtroppo, non esiste più.

Appena sopra si potrà visitare la chiesa della Madonna di Pompei, edificata nei primi del quindicesimo secolo e dedicata alla Madonna del Soccorso. Nel 1897 il parroco della chiesa madre, don Raimondo Incorvaia, con l’aiuto economico dei fedeli, la consacrò alla Vergine di Pompei e la restaurò. Da qui, attraversando l’antichissimo sentiero denominato Via semaforo giungeremo al parco archeologico. Di Monte Sant’Angelo. Questo sentiero riporterà gli escursionisti indietro nel tempo fino ai tempi dei greci e, prima ancora, dei fenici: prima che arrivassero i Greci, infatti, il sito di Licata fu frequentato dai Fenici che vi mercanteggiarono tra il XII e l’VIII secolo a.C.

Fu’ proprio il fiume Salso il bene del contendere e il mezzo attraverso il quale si sviluppò tutta la civiltà verso l’entroterra nisseno. Il fiume divideva in due la Sicilia e era presidiato in una sponda da Siculi e nell’altra dai Sicani. Verso la fine del VII sec. il colle di Licata entrò in possesso dei Geloi che vi edificarono una stazione fortificata a guardia proprio della foce del fiume.

Alla sommità del colle è possibile visitare il Castel Sant’Angelo, altrimenti detto IL FORTE. Questo è l’unico castello superstite di Licata. E’ edificato su una base poligonale irregolare, eretto a difesa delle coste e della città di Licata nel 1615 da Hernando de Petigno, comandante generale della cavalleria del regno di Sicilia. Esso si sviluppò attorno ad una preesistente torre di avvistamento che era stata costruita nel 1585 dall’architetto Camilliani. Nelle sale interne è allestito un piccolo museo dei mestieri.

La torre del castello faceva parte di un complesso sistema di Torri di avvistamento disseminate un po’ ovunque lungo la costa. Su queste torri, in caso di pericolo di invasione dal mare o di epidemie, venivano accesi dei fuochi che venivano visti e ripetuti dalle altre torri. Dalla sommità della torre si può ammirare, in tutta la sua vastità e bellezza, il meraviglioso parco Liberty all’interno del quale si trovano parecchi palazzi e ville liberty, alcune progettate da Ernesto Basile ed affrescate da Salvatore Gregorietti , come Villa Urso, Villa Sapio Rumbolo.

La vista dalla torre offre lo spunto per raccontare delle guerre PUNICHE e del Monte ECNOMO. Ci si trova infatti su quello che con molta probabilità è identificato come il Monte Ecnomo, quello della prima guerra punica, di Attilio Regolo e della sua botte chiodata. Infatti, nel IV secolo a.C.a città fu occupata dai Cartaginesi che rimasero fino al 256 a.C. Fu in questo anno che si combatté nello specchio di mare prospiciente il castello, durante la Prima Guerra Punica, la famosa battaglia navale di Capo Ecnomo (secondo Polibio la più grande battaglia navale dell’antichità). In questa epica battaglia i Cartaginesi con 250 navi e 15.000 marinai affrontarono i Romani del console Marco Attilio Regolo, con al seguito 230 navi e 97.000 uomini fra soldati, e marinai. A seguito della battaglia, la città fu conquistata dai Romani vincitori. Leggenda vuole che, Attilio Regolo, ritenuto successivamente una spia dei Cartaginesi venne condannato a morte e la sentenza fu eseguita infilandolo in una botte con l’interno chiodato e venne fatto rotolare giù dal Monte Ecnomo.

Il viaggio nel tempo porta gli escursionisti fino al III-IV secolo a.C. Secondo la più recente storiografia, la città di Licata sarebbe stata fondata nel 282 a.C. da Finzia, tiranno di Agrigento. Finziade sarebbe stato il nome della nuova città che gli antichi descrivono ricca e splendente. Le origini di Licata, però, sono assai più remote. Le recenti scoperte, infatti, consentono di documentare un quadro cronologico complessivo che va dal neolitico (5° millennio a.C.) alla prima metà del bronzo (2° millennio a.C.). L’insediamento che si ammira appena fuori il Castello viene indicato come ciò che resta della città di FINZIADE e viene fatto risalire al IV secolo a.C. Sono state portate alla luce diverse abitazioni disposte su terrazzamenti. In alcuni di essi potete ancora vedere i muri divisori e sono visibili anche alcuni affreschi e degli stucchi dipinti. Tra le abitazioni poste sotto il Castel Sant’Angelo è stato scoperto un locale decorato da stucchi contenente un prezioso tesoretto, noto come IL TESORETTO DELLA SIGNORA, costituito da collane, monili, anelli, tutti in oro oltre a 400 monete d’argento. Questo tesoro venne nascosto dal nobile che lo possedeva, subito prima della sua morte, in una parte della bellissima residenza che abitava. I successivi proprietari della residenza non seppero mai della presenza di un tesoro di tale portata all’interno della parete. Dopo il crollo della sontuosa residenza il tesoretto fu ricoperto dai calcinacci e solo dopo tantissimi anni venne ritrovato e portato alla luce. Questo tesoro è custodito attualmente in un cavò ad Agrigento e presto tornerà a Licata, al termine dei lavori di restauro del museo che lo custodirà.

Scendendo dal Colle Sant’Angelo si ritorna avanti nel tempo e si arriva nuovamente in pieno centro storico al quartiere Santa Maria. La prima sosta viene fatta davatnti alla chiesa più antica di Licata, la chiesa di Santa Maria di Gesù, detta anche Santa Maria La Vetere e Santa Maria del Monte. La sua fondazione, risalente al 580 d. C., è attribuita alla Beata Silvia, madre del papa S. Gregorio Magno. Le attuali strutture risalgono alla sua completa riedificazione da parte dei Benedettini, avvenuta tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300. Ha impianto basilicale con tre navate divise da pilastri, trasformate più tardi in colonne, e da archi di sesto acuto, oggi, dopo i restauri, coperte da volte travate. In origine le sue pareti erano affrescate. Rimane ora qualche traccia di affresco, emerso dai restauri, riproducente San Gregorio Magno. Nel 1589 venne concessa ai PP. Francescani dell’Osservanza che vi eseguirono radicali interventi di ristrutturazione, ampliando anche l’annesso convento, diventato nel periodo post unitario ospedale civico. Significativa è la statua di San Calogero (alt. cm. 172), proveniente dal vicino santuario rupestre, che vi è custodita. La statua, realizzata nel 1726 in tela di iuta stuccata e dipinta, è molto rigida nella impostazione e ripete le caratteristiche di certi prototipi iconografici tradizionali esistenti in molte parti dell’Agrigento, dov’è radicato il culto del Santo nero. Interessante da visitare è la cripta scoperta proprio al centro della navata che accoglieva le catacombe attribuibile alle opere di rifacimento dei Francescani.

Uscendo dalla chiesa ci si addentra nei meandri del quartiere Santa Maria per ammirarne la fattura e gli anfratti. Si pensi che ogn’una delle abitazioni del quartiere cela al suo interno un segreto: una grotta, una antica colonna… si racconta di alcuni ingressi di cunicoli che si svilupperebbero sotto tutta la città e che venivano usati come rifugi durante gli ultimi bombardamenti. Una delle peculiarità delle zone attraversato dall’itinerario è che ognuno dei quartieri visitati possiede un proprio dialetto che, se parlato in maniera stretta, risulta incomprensibile agli altri, quasi come una lingua.

Uscendo sulla Salita Santa Maria, subito a sinistra si incrocia uno dei tanti Palazzi Frangipane. Una struttura neoclassica della seconda metà dell’800, modificato inseguito dall’armatore Matteo Verderame con l’aggiunta del piano superiore.

E’ data ora possibilità di visitare una splendida opera idraulica ipogea di età pre-ellenistica denominata LA GRANGELA, attorno alla quale ruotano tantissime leggende. La Grangela è la più importante e meglio conservata opera di questo tipo, tra tutte quelle che nei secoli sono state costruite sulle falde del monte Sant’Angelo. Si tratta di un pozzo filtrante che doveva fornire l’acqua all’antica città. Si estende verticalmente per 12 metri e continua poi in un vano che attraversa la roccia con una piccola galleria alta 2 metri e lunga 7. sul fondo della vasca sono presenti tre fosse cui giunge l’acqua raccolta attraverso quattro cunicoli di captazione che si estendono all’interno della roccia non si sa per quanta lunghezza. Si pensa che tali cunicoli siano più di 4, che siano percorribili e che si estendano fino al Castello e al cimitero dei Cappuccini, al porto e addirittura fino a mollarella (15 Km da qui). Per questo la Grangela rappresenta per i licatesi un luogo del mito, e ad essa sono legate diverse leggende e racconti ispirati a culti religiosi perpetrati all’interno finanche alle proprietà afrodisiache dell’acqua in essa presente. Il mito della Grangela più conosciuto è quello che racconta.

Dalla Grangela si raggiunge facilmente la “THOLOS”, sempre in pieno centro storico. Fino a poco tempo fa era ritenuto un grande silos atto a contenere il grano che veniva commerciato in gran quantità tramite il porto di Licata. Recenti studi, invece, attribuiscono a questo sito la matrice di Tomba e precisamente si tratterebbe della tomba del Re Cretese “MINOSSE” che, venuto a Licata in visita, sarebbe deceduto per un incidente e qui sarebbe stato seppellito. La deduzione deriva dall’analisi di alcune scritte presenti sulla volta della “Tomba” e sulla parete di una porta ora murata. Infatti, da un’analisi anagrammatica delle scritte si risalirebbe al nome Minos, appunto “MINOSSE”. Da qui concludiamo la passeggiata nuovamente in Piazza Progresso.

Fonte: www.associazioneprogresso.com

Una nuova tipologia di ospitalità:il bed and breakfast

Il termine bed and breakfast – di etimologia anglosassone -, o più comunemente B&B, letteralmente significa “letto e colazione”, ed identifica un servizio paralberghiero con colazione. Sostanzialmente il termine b&b indica l’offerta di ospitalità in abitazioni private.

Questa tipologia di ospitalità, che ha origini prettamente anglosassoni, è oramai diffusa in tutto il mondo ed anche in Italia sta ricevendo un eco ed un successo sempre maggiore. Sempre più persone infatti prediligono soggiornare in un b&b per il clima informale, l’indubbia economicità e l’atmosfera meno fredda dei tradizionali alberghi. In alcuni casi però soggiornare in un bed and breakfast può anche divenire una soluzione esclusiva (si pensi al soggiorno in dimore storiche o di particolare pregio). Le principali differenze dagli alberghi consistono nel numero ridotto di camere, nel servizio personalizzato e nel particolare rapporto che si può avere con il personale che crea un atmosfera per la quale “ti senti a casa”.

Soggiornare in un b&b può divenire anche occasione di contatto con i particolari usi e costumi locali e capire il modus vivendi delle famiglie ospitanti e diventare quindi occasione di arricchimento umano e culturale.

La legge italiana prevede che il numero delle stanze sia limitato e che si effettui una pulizia dei locali e della biancheria regolare. Solitamente la colazione consiste di cibi preconfezionati che possono essere riscaldati ma non manipolati dal gestore: sostanzialmente quindi prevede un menù composto da pane, fette biscottate, brioche, marmellata, confetture, burro, latte, caffè, succo d’arancia. La colazione è comunque generalmente molto abbondante e servita secondo le tradizioni locali.

I bed and brerakfast possono essere anche una fonte alternativa di guadagno per le famiglie. Sono sempre più numerose infatti le famiglie italiane che decidono di integrare il loro reddito mediante l’apertura di un bed and breakfast, utilizzando parte della loro abitazione o sfruttando proprietà immobili per offrire ospitalità a studenti, turisti e viaggiatori.

Gestire un bed and breakfast è però anche un vero e proprio stile di vita; un vero e proprio interscambio culturale tra chi fornisce tale servizio e chi si rivolge a questa nuova formula ricettiva che potrà entrare in diretto contatto con gli usi, le tradizioni, le abitudini e la cultura del bed and breakfast ove soggiornerà.

Trekking centro storico

Trekking Centro Storico

Viaggio nel tempo tra storia e miti del Centro Storico

Il percorso di Trekking del centro storico rappresenta un vero e proprio un viaggio nel tempo che farà vivere agli escursionisti la storia incredibile di questa città.

Si parte da Piazza Progresso dove è possibile ammirare il Palazzo di Città; la denominazione PALAZZO DI CITTA’ non è casuale ma è stata voluta dai lungimiranti amministratori dell’epoca per rendere l’idea di un Municipio a disposizione del popolo. Questo complesso, costituito dalla torre dell’orologio civico e dal municipio venne realizzato dal famoso architetto Ernesto Basile. Le campane dell’orologio, contenute da una gabbia in ferro battuto, risalgono al 1777 e provengono dall’orologio seicentesco che si trovava nella torre del cosiddetto Castel Nuovo, uno dei tre castelli di Licata. Arrivare alla sommità della torre è possibile attraverso una bellissima scala a chiocciola di pregevole fattura architettonica.

Il viaggio nel tempo inizia e finisce qui; infatti il Palazzo di Città è posto sul confine delle mura della antica città greca e sul punto di partenza dell’espansione cittadina dei tempi moderni.

La prima sosta è dinnanzi a quello che probabilmente è il più sontuoso dei palazzi costruiti all’inizio dell’800 appena fuori le antiche mura della città. Edificato in elegante stile Liberty con colonnato nella parte centrale, rappresenta l’ala avanzata è più moderna del retrostante ed antico palazzo CANNARELLA. Il contatore del tempo ci porta al periodo dello sbarco di Garibaldi in Sicilia: infatti, sbarcato Garibaldi a Marsala, Licata insorge al suo fianco ed invia un proprio drappello di uomini armati al seguito del Generale il quale manda in visita a Licata Ciro Menotti e Nino Bixio; costoro furono ospitati nella notte del 20 luglio 1860 proprio nel palazzo del marchese Cannarella.

Da qui, passando per l’antico borgo di San Paolo, si raggiunge una splendida opera idraulica ipogea di età pre-ellenistica denominata LA GRANGELA, attorno alla quale ruotano tantissime leggende. La Grangela è la più importante e meglio conservata opera di questo tipo, tra tutte quelle che nei secoli sono state costruite sulle falde del monte Sant’Angelo. Si tratta di un pozzo filtrante che doveva fornire l’acqua all’antica città. Si estende verticalmente per 12 metri e continua poi in un vano che attraversa la roccia con una piccola galleria alta 2 metri e lunga 7. Sul fondo della vasca sono presenti tre fosse cui giunge l’acqua raccolta attraverso quattro cunicoli di captazione che si estendono all’interno della roccia non si sa per quanta lunghezza. Si pensa che tali cunicoli siano più di 4, che siano percorribili e che si estendano fino al Castello e al cimitero dei Cappuccini, al porto e addirittura fino a mollarella (15 Km da qui). Per questo la Grangela rappresenta per i licatesi un luogo del mito, e ad essa sono legate diverse leggende e racconti ispirati a culti religiosi perpetrati all’interno finanche alle proprietà afrodisiache dell’acqua in essa presente.

Dalla Grangela è possibile raggiungere facilmente la “THOLOS”, sempre in pieno centro storico. Fino a poco tempo fa era ritenuto un grande silos atto a contenere il grano che veniva commerciato in gran quantità tramite il porto di Licata. Recenti studi, invece, attribuiscono a questo sito la matrice di Tomba e precisamente si tratterebbe della tomba del Re Cretese “MINOSSE” che, venuto a Licata in visita, sarebbe deceduto per un incidente e qui sarebbe stato seppellito. La deduzione deriva dall’analisi di alcune scritte presenti sulla volta della “Tomba” e sulla parete di una porta ora murata. Infatti, da un’analisi anagrammatica delle scritte si risalirebbe al nome Minos, appunto “MINOSSE”.

Attraverso una stretta viuzza denominata Salita Milazzo si sale verso Piano Quartiere. In questa area sorgeva un castello edificato a difesa della muraglia di ponente. Fu distrutto dai turchi nel 1553, si riesce a scorgere ancora ciò che resta delle mura di questo glorioso castello denominato Castel Nuovo. Ciò che restava in piedi venne acquistato dalla municipalità licatese nel 1604 che lo trasformò in Quartiere per i soldati della fanteria spagnola di Comarca a cui Licata era a capo. Terminate le incursioni barbaresche il Quartiere venne smilitarizzato e abbandonato fino a che, nel 1897 il comune ordinò la totale distruzione degli ultimi edifici rimasti in piedi, compreso la torre dell’orologio civico che vi era stato collocato nel 1863 (le quali campane successivamente vennero collocate sulla torre del municipio).

Ci si addenta, attraverso la caratteristica SALITA DELLE CAPRE, nel antico quartiere Marina, detto anche Quartiere Arabo. La vecchia Marina resta oggi importante soprattutto per il suo antico e tortuoso impianto viario, rimasto completamente invariato, caratterizzato in generale da viuzze e da numerosi cortili e piccoli pianori. Al suo interno sono collocate diverse attività consorziate. Il quartiere è formato da strettissime viuzze sulle quali si affacciano dei balconcini molto bassi. Il motivo di queste vie così strette è dettato dal bisogno di difesa che c’era all’epoca delle tante invasioni che venivano dal mare. Infatti gli invasori ingabbiati in queste strette viuzze erano alla mercè dei licatesi che si difendevano buttando addosso ai loro nemici dai balconi dell’olio bollente. La rappresentazione di questa antica metodologia di difesa rivive ogni anno a Maggio e ad Agosto durante le due rappresentazioni della festa del Santo Patrono Sant’Angelo che la tradizione vuole inseguito dai Saraceni invasori per queste viuzze e difeso con il getto dell’olio bollente. Durante la festa, l’argentea bara del Santo portata a spalla dai marinai scalzi e preceduta da una miriade di ragazzini che corrono e urlano per liberarle la strada entra nel quartiere Marina percorrendo la via Sant’Andrea e, durante il suo passaggio, dai balconi le vengono buttati addosso dei petali di rose che simboleggiano l’olio bollente. E proprio nel mezzo della via Sant’Andrea, che rappresenta la prima vera strada costruita dagli Arabi, si trova la casa dove tradizione vuole che dimorò il Santo Patrono della città: Sant’Angelo.

Di fronte alla casa del Santo si ammira lo splendido portale del Palazzo PLATAMONE; del suo sontuoso prospetto oggi resta pochissimo: due poggioli sull’angolo con via donna Agnese con possenti mensoloni terminanti con maschere grottesche, due balconi lungo la via Sant’Andrea sorretti da un unico poderoso mensolone per parte, l’elegante portale dell’ingresso in conci di tufo, finemente scolpiti, smontato pezzo per pezzo in un periodo imprecisato dello scorso secolo per rimetterlo in asse, una volta tagliata una parte del grande androne coperto dal quale si è ricavato un vano al piano terra, con il nuovo ingresso. In corrispondenza della chiave dell’arco stanno le armi araldiche della famiglia Platamone sormontate dalla corona di barone.

L’andamento curvo della via Sant’Andrea dà l’idea di un recinto o di un fossato a protezione dell’antico abitato; anche questa soluzione architettonica, comune anche alle altre viuzze della Marina, fa parte dell’impianto difensivo del quartiere. Infatti, l’andamento curvo dava la possibilità a chi fuggiva correndo di evitare con più facilità le frecce del nemico che, naturalmente, non curvano.

Si giunge davanti alla chiesette di San Girolamo, dal 1578 oratorio e sede della Confraternita della Misericordia che la mantiene ancora oggi. La chiesa custodisce inoltre i sacri legni del cristo crocifero, il Cristo deposto, l’urna lignea e le croci del Calvario utilizzate per la ricorrenza del Venerdi Santo. Infatti da qui la notte del Giovedì Santo parte una sentitissima processione dove si percepisce un ‘atmosfera di sommessa penitenza: i confrati della confraternita sorreggono una delle due statue del Cristo adagiata su un feretro e coperto da un telo nero. Questo Cristo verrà portato all’interno di un sontuoso palazzo a fianco del calvario in attesa di essere messo in croce al posto del Cristo incatenato che sfila il Venerdi Santo per le vie cittadine.

Altra sosta obbligata davanti alla casa di ROSA BALISTRERI, probabilmente una tra le più importanti cantanti folk siciliane del secolo scorso. Rosa Balistreri mori nel 1990 e visse l’infanzia e la giovinezza nella miseria e il degrado sociale nel quale a quei tempi versava il quartiere della Marina. Fin da bambina si dedicò alle più umili attività: servì presso le case di famiglie benestanti e andò a lavorare nella conservazione del pesce nel quartiere Salato, In queste difficili condizioni, Rosa scaricava la sua rabbia e il suo disagio cantando a squarciagola lungo le stradine della Marina. A sedici anni fu data in sposa a “Iachinuzzu”, che lei durante un suo spettacolo a Licata, definì “latru, jucaturi e ‘mbriacuni”. La vita matrimoniale fu ancora più misera e degradante di quella trascorsa nella sua famiglia d’origine, tanto da portarla, in preda alla disperazione, ad aggredire con una lima il marito nella casa di via Martinez, in seguito alla scoperta della perdita al gioco del corredo della figlia. Credendo di averlo ucciso, andò a costituirsi dai carabinieri, affrontando anche la galera. Superati questi dolorosi avvenimenti per Rosa iniziò una periodo di serenità: incontrò il pittore Manfredi, con cui visse per dodici anni, che le diede tanto amore e la possibilità di conoscere grandi personaggi della cultura e dell’arte. Tra i tanti conobbe Mario De Micheli che, estasiato della sua voce, le diede la possibilità di incidere il suo primo disco con la Casa Discografica Ricordi, evento che segnò l’inizio della sua vita artistica. Conobbe e recitò con Dario Fo’. Nel 1973 partecipò al Festival di San Remo. Negli anni ottanta recitò con Anna Proclemer .Canto e recitò la canzone folk in tutti i teatri del mondo.

Attraverso le viuzze che si continuano a percorrere non è raro scorgere dei marinai che svolgono uno dei più antichi gesti del mestiere di uomo di mare: la cucitura delle reti. Parecchie infatti sono le abitazioni dei marinai che hanno nei loro piano terra i laboratori di riparazione delle reti.

Uscendo dal quartiere Marina ci si trova di fronte alla Chiesa Madre. Disegnata verso la fine del 400 dall’arch. Pietro Palatino ed inaugurata nel 1508 fu denominata SANTA MARIA LA NUOVA. Ha forma basilicale a croce latina, con tre navate. A sinistra dell’ingresso è conservato un sontuoso ed artistico fonte battesimale di marmo bianco, eseguito tra il 1498 e il 1499 dal maestro marmoraro Gabriele di Battista da Como. All’interno del Duomo si possono ammirare numerose opere d’arte di grande pregio. Gli affreschi della volta della navata centrale e gli affreschi della volta del transetto, con scene del Vecchio Testamento, e i quattro pinnacoli alla base della falsa cupola sono di Raffaele Politi che li dipinse a partire dal 1824. Alle pareti dell’abside si possono ammirare, a sinistra,”L’ Adorazione dei Maggi”, un dipinto su tela di Fra Felice da Sambuca, a destra, “La S. Natività”, un raro dipinto su tavola del 1572, attribuito all’estro di Deodato Guinaccia.

Entrando nella CAPPELLA DEL CRISTO NERO, contenuta all’interno della Chiesa Madre, si rischia di rimanere veramente senza fiato. Il Cristo, posto alla sommità dell’altare ligneo, è realizzato in pasta di paglia e legno e ha mani e piedi di legno. Questa miscela serviva a renderlo leggero in quanto era appeso nell’arco trionfale della navata centrale della Chiesa. E’ un opera attribuita a Iacopo e Paolo de li Matinali di Messina. La storia dice che nel 1553 i turchi invasero Licata dal mare provenienti da Malta e la prima chiesa che incontrarono fu proprio la Chiesa Madre. La saccheggiarono, misero tutto ciò che trovarono di legno al centro della navata sotto il Cristo appeso e incendiarono tutto. Il Crocifisso, però, seppur annerito, miracolosamente non bruciò e i licatesi, dopo la partenza delle navi ottomane, vistolo annerito e scampato alle fiamme gridarono al miracolo. Proprio la devozione del popolo consentì il restauro della cappella detta del Cristo Nero totalmente rivestita di pannelli di legno e decorata in oro zecchino, curata dal maestro Giuseppe Di Bernardo intorno al 1702, che realizzò un’opera tipica espressione dell’estroso e bizzarro stile barocco, probabilmente una delle opere più belle della Sicilia.

Uscendo dalla Chiesa Madre ci si trova di fronte al prospetto del palazzo DOMINICI, sovrastato dallo splendido stemma della famiglia nobiliare posto sul prospetto principale. L’importanza del palazzo è data dal fatto che al suo interno nacque San Giuseppe Maria Tomasi, compatrono di Licata. Passando davanti ad un altro dei tanti palazzi FRANGIPANE disseminati per il centro storico si giunge dinnanzi al palazzo CANNADA; la sua edificazione risale al periodo tra la fine del 600 e l’inizio del 700. Sopra l’arco è posto lo stemma della famiglia: un vaso fiorito inserito nel petto di un’aquila bicipite. Transitando per l’ospedaletto, antico ricovero di malati terminali, e davanti al museo civico, si raggiunge piazza Sant’Angelo. Questa rappresenta l’unica piazza di Licata progettata proprio come piazza. Attorno alla piazza sono posizionati: la chiesa eretta in onore del Santo Patrono Sant’Angelo, il complesso conventuale di Sant’Angelo (che ospitò ai tempi dei garibaldini la compagnia capitanata da Edmondo de Amicis), che racchiude al proprio interno uno dei più bei chiostri di Licata, la chiesa del S.S. Salvatore con un campanile di pregevole fattura mista Gotica/Barocca e una serie di ricchi palazzi nobiliari tra i quali spicca PALAZZO BOSIO. Si tratta di una costruzione edificata nella 2a metà del 600, che si sviluppa in lunghezza e chiude la grande piazza sul lato settentrionale. Il suo prospetto barocco è nobilitato da raffinati elementi decorativi. Parte del prospetto, quella che si conclude con la via D’Annunzio, è stato manomesso ai primi del novecento con l’aggiunta di una sopraelevazione che ne ha compromesso la generale armonia e l’unità artistica. La parte originale del prospetto, con i suoi balconi al piano nobile, è spartita da tre lesene su alti plinti, terminanti con capitelli corinzi di ordine composito. Assai singolari sono i due artistici portali, di uguale disegno e di uguale pregio, uno portava agli appartamenti del piano nobile, l’altro alle scuderie e ai magazzini. Nel fastigio del balcone principale è inserito lo stemma della famiglia.

E’ d’obbligo la visita alla splendida chiesa di Sant’Angelo, chiesa del 600 dedicata al Santo Patrono della città, il quale in questo luogo nel maggio del 1220 subì il martirio per mano del regio castellano della città, tal Berengario La Pulcella. Ha una struttura basilicale a tre navate; le dodici colonne delle navate provengono dalle cave di Billieme. Nella navata di sinistra meritano particolare attenzione i dipinti della Madonna della Lettera e dell’Ecce Homo e la scultura in legno policromo di San Francesco di Paola del XVI secolo. Assai interessante e prezioso è il tesoro della chiesa, costituito da numerosi pezzi d’argento, opera dei maestri argentieri locali del XVII secolo. Vi si ammira oggi il pozzo miracoloso, dove sarebbero state scoperte le reliquie di Sant’Angelo, realizzato con una artistica balaustra ottagonale nel 1673 dal maestro marmoraro trapanese Giovanni Romano: il mito del Pozzo Miracoloso racconta che nel XIV secolo i Licatesi si accorsero che in un luogo presso la chiesetta dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo, indicato come il luogo dove subì il martirio Sant’Angelo, scaturiva dell’olio di celeste fragranza che guariva quanti ne facevano uso. Qualche tempo dopo, cessato questo prodigio, una donna vi avrebbe trovato un candido giglio che, raccolto, rispuntò il giorno dopo e nuovamente reciso nacque ancora per la terza volta. Il quarto giorno i fedeli, incuriositi da questo evento miracoloso, scavarono e, in quel posto, rinvennero le ossa di un frate che attribuirono subito a Sant’Angelo. Rimosse le reliquie scaturi una fonte la cui acqua, nitida e dall’odore soave, il giorno della festa del Santo Patrono arrivava fino all’orlo del pozzo, che allora era delimitato da gradini di pietra, ed operava prodigi. L’acqua, per i suoi effetti miracolosi veniva spedita in anfore sigillate col sigillo del Magistrato di Licata alle città e alle provincie vicine per consentire anche a loro di godere dei suoi prodigi. Ancora oggi si racconta che il giorno del 5 maggio l’acqua, normalmente salata, diventa miracolosamente dolce. Sul puteale si trova la delicata statuina (cm. 52) in marmo bianco venato di Sant’Angelo sul letto di morte.

Costeggiando il convento di San Francesco, all’interno del quale è racchiuso un altro degli splendidi chiostri di Licata, incontriamo piazza Elena, piazza che interrompe la via principale dell’ANTICO CASSERO, anch’essa circondata da palazzi nobiliari tra i quali spicca Palazzo Celestri. Appartenne alla omonima famiglia, insignita del titolo di marchesato. Il suo impianto monumentale, certamente del 600, oggi a tratti leggibile, per le vistose manomissioni subite, soprattutto nel 900, si sviluppa lungo via Collegio, via Signora e Piano Levano e confina con quello che resta del palazzo dei baroni Trigona. Della sua splendida architettura resta solo il suo maestoso portale costituito da un arco a pieno centro sostenuto da due poderose colonne. Lo stemma della famiglia, una mezza luna in campo azzurro fa la funzione di chiave dell’arco.

Una visita allo splendido teatro Re Grillo è obbligatoria. Prima di concludere il percorso descritto c’è ancora tempo per un’ultima forte emozione, che si prova dall’ammirazione dello splendido prospetto del più importante dei PALAZZI FRANGIPANE. Questo è sicuramente il più sontuoso dei palazzi della famiglia frangipane, edificato nel ‘700, oggi sede della Banca Popolare Sant’Angelo. La sua artistica facciata barocca, scandita da lunghe e larghe lese bugnate si apre in sette balconi sostenuti da mensoloni terminanti in buffe maschere, che rappresentano demoni alternati ad angeli. Fastoso è il portale dell’ingresso principale che immette in un grande cortile, parte voltato e parte a giorno, dove uno artistico scalone che conduce agli appartamenti del piano nobile, oggi non più esistenti, si conclude di una bellissima finestra bifora anch’essa adornata da demoni e angeli. Il viaggio nel tempo si conclude nuovamente davanti al Palazzo di città.

I luoghi archeologici

Lo Stagnone Pontillo

Lo Stagnone Pontillo è un antico ipogeo adibito al culto, databile al II millennio a.C., si trova lungo la strada che dall’ospedale conduce alla Mollarella. Interamente scavato nella roccia è unico nel suo genere. Nato come sepoltura monumentale preistorica, per secoli fu certamente usato come serbatoio d’acqua.

 

 

 

La Grangela

Opera preellenica utilizzata per la raccolta d’acqua. Consiste in un profondo pozzo di forma rettangolare scavato nella roccia, sito ai piedi del Monte Sant’Angelo a due passi da piazza Progresso, con due entrate da via Marconi e via Santa Maria. Un’opera, ancora funzionante, di sicuro fascino che richiama la curiosità di parecchi visitatori.

 

 

 

Fonte: www.prolocolicata.it

Le spiagge di Licata


 

 

 

 

Licata si estende lungo la costa per circa 24 km. Il litorale si presenta molto variegato, passando da lunghi tratti sabbiosi, ad oriente della città, alle suggestive scogliere della Montagna e di Mollarella e Poliscia, ad occidente.

Così da oriente verso occidente sono rinomate e frequentatissime le spiagge di Poggio di Guardia e della Playa; attraversato il fiume Salso e la grande zona portuale, si passa dalla bellissima e lunghissima spiaggia di Marianello, famosa anche per i caratteristici calanchi di natura argillosa, per arrivare via mare alle Balatazze, insenatura famosa per gli scogli piatti che affiorano dal mare, e ancora Lavanghe, Nicolizia e Caduta.

Si arriva poi alla sabbiosa Baia di Mollarella, spiaggia frequentatissima e ricca di stabilimenti balneari, che termina con la rocca di Mollachella, penisoletta sul mare, unita alla terraferma da una lingua di sabbia, attraverso la quale si arriva alla bellissima spiaggia della Poliscia; da qui, dopo un intermezzo di scogli, si arriva alla piccola spiaggia di San Nicola, poi la rocca di San Nicola e la bellissima e lunghissima spiaggia del Pisciotto che termina sotto la Torre di Gaffe.

Il litorale di Licata si presenta ampio bellissimo e variegato, i visitatori ne rimangono attratti per il mare pulito, per la bellezza delle spiagge e per il fascino delle coste frastagliate dominate dalle colline che fanno da contorno a un panorama invidiabile e da valorizzare al meglio.

Fonte: www.prolocolicata.it

Le feste religiose

La festa della Madonna Addolorata di Sant’Agostino

   

 

 

 

 

 

 

E’ una ricorrenza molto attesa dai fedeli licatesi. Si svolge ogni anno il venerdì che precede la Settimana Santa. La festa si tramanda fin dagli inizi del ’900, via via la devozione per la Madre Addolorata è cresciuta fino a far sì che la Chiesa di S. Agostino fosse elevata a Santuario con decreto del 13 aprile 1973 a firma dell’allora Vescovo Mons. Giuseppe Petralia, su richiesta di don Michele Polizzi. Oramai i festeggiamenti della Madonna Addolorata iniziano molti giorni precedenti la festa; l’intero quartiere Marina e la città vivono in devoto fermento i giorni che precedono la processione. Uno dei momenti più toccanti è quello relativo alla Scinnuta della Madonna che avviene il giovedì sera dopo la messa; la Madonna viene scesa dall’altare maggiore del Santuario e viene sistemata nel fercolo che per tre giorni la vedrà fuori dalla propria casa. La processione ha luogo il venerdì con inizio alle ore 11.00; una grande folla assiste con devozione al cammino lento, accompagnato da motivi musicali tristi, quasi a lutto, intonati dalla banda musicale che accompagna per l’intero tragitto le fatiche dei portatori appartenenti alla Confraternita di Maria SS. Addolorata di Sant’Agostino. Dai balconi della Marina addobbati con le migliori coperte e gremiti da tantissime persone viene giù una bellissima pioggia di fiori al passaggio della Madre Addolorata.

La Madonna tra un fiume di folla, molti dei quali a piedi scalzi a voler significare profonda venerazione e richiesta di grazie, procede lentamente percorrendo la via Colombo, la parte finale di via Marconi, la via P.pe di Napoli, la via Barrile, la via Marconi, Piazza Progresso, C.so Roma fino alla chiesa del Carmine e poi ritorna indietro percorrendo il c.so V. Emanuele per concludere la lunga processione all’interno della Chiesa Madre, dov’è accolta da tantissimi fedeli emozionati e gioiosi per l’arrivo della Madonna Addolorata. All’interno della Chiesa Madre fervono i momenti di devozione fino alla Domenica delle Palme quando la sera la Madonna portata a spalla dai Confrati dell’omonima confraternita viene condotta verso la via del ritorno, che come sempre si annuncia lunga ed emozionante. In questa fase il simulacro della Madonna attraverserà la parte opposta della città, ovvero il quartiere Oltreponte, c.so Serrovira, c.so Italia, Settespade per poi ridiscendere verso il centro e la Marina.

La festa della Madonna Addolorata è caratteristica anche per il suono assordante che viene emanato dalle troccole al suo passaggio, per questo tradizionalmente veniva chiamata anche “a Madonna i trocculi“. Questi strumenti musicali, dapprima lignei (di origine ebraica), ora moderni in plastica, venivano comprati ai bambini, i quali li agitavano al passaggio della Madonna.

La festa della Madonna Addolorata apre ufficialmente i riti della Settimana Santa. Da sempre si narra che la Madonna esce il venerdì prima della Settimana Santa alla ricerca disperata del proprio figlio che purtroppo non trova.

 

Il Venerdì Santo

   

 

 

 

 

 

Il Venerdì Santo è forse la ricorrenza religiosa più attesa dall’intera città. E’ una commemorazione che impegna i fedeli per oltre un’intera giornata senza sosta alcuna. Alla commemorazione del Venerdì Santo fin dai tempi remoti ci pensa la Confraternita di San Girolamo della Misericordia. L’inizio della ricorrenza si ha il giovedì sera quando i Confrati vestiti con smoking e saio e cappuccio bianco, cordoncino rosso, tenendo in mano una candela e paraluce rosso, preceduti dallo stendardo e da una croce, escono dalla Chiesa di San Girolamo, situata all’interno del quartiere Marina, e incamminandosi lungo la via Martinez, il corso V. Emanuele e il corso Umberto giungono al Calvario per una visita penitenziale, non senza avere recitato la via Crucis e le preghiere, dopo una breve sosta davanti al Chiostro San Francesco al cui interno trovasi il Gesù flagellato. A far visita al Gesù è una piccola Delegazione comandata dal Governatore in carica.

Le processioni iniziano nella mattinata del Venerdì Santo, alle ore 3.30 quando all’urlo di Misericordia i confrati portano a spalla il corpo di Gesù, coperto da un prezioso telo, dirigendosi fino al Calvario, dove nei pressi, nel palazzo del Barone La Lumia, è allestita una camera ardente che ospiterà il Cristo che nel pomeriggio verrà crocifisso. Il Cristo in lettiga è seguito dalla Madonna Addolorata. I due preziosi simulacri che procedono in silenzio, con passo cadenzato, in mezzo a un mare di folla, percorrono la via Sant’Andrea e il corso V. Emanuele. Giunti in piazza Elena la Madonna si dirige nella chiesa di Sant’Angelo, dove aspetterà fino al momento della Giunta con il figlio che avverrà nel pomeriggio alle ore 14.00. Quasi all’alba il Cristo in lettiga entrerà al grido di Misericordia nella cappelletta del palazzo La Lumia. Il percorso viene illuminato dai fedeli che per l’occasione espongono delle luminarie nelle inferriate dei balconi e lanciano una pioggia di fiori al passaggio del Crsito e della Madre Santa.
Alle ore 13.00 ha inizio la processione del Cristo Crocifero, ovvero u Signuri ca cruci ‘ncoddu (Gesù con la croce nella spalla, vicino al collo). I confrati si mostrano eleganti con smoking nero e camicia con collo inamidato e cravattino a farfalla e guanti bianchi. Con l’apertura del portone della chiesa, la piazzetta San Girolamo stracolma e il battere dei piatti, al suono della grancassa e lo squillo di tromba, inizia una processione toccante che porterà il Cristo Crocifero, portato a spalla con profondo raccoglimento dai Confrati, lungo le tortuose vie della Marina e lungo il piccolo Cassero (corso V. Emanuele) e ancora piazza Elena e Piazza Progresso, fino all’incontro “Giunta” con la Madonna, che alla vista del figlio corre per abbracciarlo. E’ uno dei momenti più toccanti dell’intera Commemorazione, scoppia un boato e la folla si apre lasciando spazio all’incedere della Madre Santa che corre incontro al figlio catturato per essere crocifisso. Da qui inizia il cammino verso il Calvario, i due simulacri procedono affiancati e di pari passo. Appena arrivati quasi al Calvario il Cristo Crocifero entra nel palazzo La Lumia e subito dopo quasi per magia esce privo della Croce sulle spalle pronto per essere crocifisso. Altro momento toccante, appunto, la crocefissione, seguita da preghiere e dalla visita di tutte le Associazioni religiose che porgono il loro omaggio a Gesù e alla Madonna Addolorata, sistemata ai piedi della Croce.
La sera, all’imbrunire, i confrati, che indossano il saio bianco, si ritrovano nella chiesa di San Girolamo da dove ripartono in processione con la bellissima urna che accoglierà il Cristo morto al momento della sua deposizione dalla Croce. I confrati al solito ritmo cadenzato fanno lo stesso percorso di prima e alle 20.00 arrivano al calvario per la deposizione del Cristo. Altro momento toccante e di raccoglimento. La processione si snoda poi fino alla chiesa del Carmine, dove il Cristo viene accolto dai fedeli in preghiera e dal canto del Coro Polifonico. Poi il ritorno verso la propria chiesa dopo avere effettuato un’altra sosta all’interno della Chiesa Madre. Il rientro nella chiesa di San Girolamo è faticoso, vuoi per la stanchezza dei portatori, vuoi perché ogni spazio all’interno della piazzetta è occupato dai tantissimi fedeli che non vogliono perdersi un attimo così emozionante.

 

La festa di Sant’Angelo

Fu il Capitolo Provinciale dei PP. Carmelitani della Sicilia, tenutosi a Licata l’8 maggio 1457, a stabilire di celebrare il 5 maggio di ogni anno la festa di Sant’Angelo, martirizzato a Licata nella chiesa dei SS. Apostoli Filippo e Giacomo, il 5 maggio 1220. Fin dai primi tempi la festa venne celebrata in concomitanza con la Fiera di maggio che cadeva tra il 25 aprile e il 4 maggio. (Cfr. C. Carità, La Chiesa di Sant’Angelo e la festa del 5 maggio a Licata, p. 54).
Sant’Angelo, patrono di Licata, viene festeggiato il 5 maggio di ogni anno, anniversario della sua morte, e in maniera meno solenne, la domenica successiva al ferragosto. La festa di mezz’agosto s’è resa necessaria per accontentare i parecchi licatesi che vivono all’estero o lontani da Licata. Le due festività sono molto sentite. I fedeli e il popolo sono coinvolti in modo commovente e anche allegro.
Nella festa del 5 maggio, ricca di folclore, si assiste ad una serie di celebrazioni liturgiche che culminano con i Vespri del 4 sera quando, si assiste ad uno dei momenti più forti e commoventi dell’intera manifestazione con la discesa dall’altare maggiore della Sacra Urna argentea contenente le reliquie del Santo Carmelitano. L’Urna viene riposta sul bellissimo fercolo che a spalle verrà portato in processione dalle Associazioni Pro Sant’Angelo, i cui componenti caratteristicamente sono vestiti di marinai a piedi nudi. Caratteristica ed attesa la fiera di maggio che dura mediamente 4 giorni e che allieta i cittadini licatesi e di molti forestieri che per l’occasione visitano la nostra città. La mattina del 5 maggio sono caratteristiche le sfilate delle mule parate che vanno a rendere omaggio, recando doni, a Sant’Angelo sul sagrato del santuario. La sera, alle ore 20.00, dopo la S. Messa, inizia la processione, seguita da una folla straripante, della argentea urna reliquiaria di Sant’Angelo portata su un artistico fercolo. La bara segue un percorso ben studiato. All’uscita dalla Chiesa di Sant’Angelo, la processione si snoda percorrendo la via Berengario, si attraversa piazza Elena e il corso V. Emanuele, si va per via S. Andrea e quindi al porto, il Santo rientra nel corso V. Emanuele e dalla villa Elena si prepara per la prima grande spettacolare e travolgente corsa. Portata a spalla da più file di giovani marinai in divisa bianca e a piedi scalzi che, avvinghiati l’un con l’altro senza guardare il percorso, corrono velocemente per alcune centinaia di metri guidati solo dai timonieri, preceduti da centinaia di ragazzini scalzi festanti ed in bianca divisa che si fanno spazio tra la folla assiepata sui marciapiedi con torce accese, mentre la banda intona marce fastose.
E’ un momento davvero spettacolare e colmo di tensione. Fa rabbrividire il vedere questo fercolo correre e quasi traballare. La processione procede poi lungo tutta la città, anche nei quartieri periferici. Nel percorso vengono fatte altre corse, meno spettacolari della prima. Avvincente, invece, è l’ultima, quella che porta Sant’Angelo sino sotto l’altare maggiore della chiesa patronale, seguito in corsa (una volta, oggi non più per le precarie condizioni, anche se restaurati), anche dai giganteschi e pesanti quattro ceri (i ‘ntorci) di legno scolpito e laccato portati a spalla da nerboruti pastori e da robusti agricoltori ed ortofrutticoli.
La festa procede il giorno dopo con il palio a mare e con l’albero della cuccagna (u paliu a ‘ntinna), momento molto atteso soprattutto dai bambini. La sera, invece, è il momento di concerti di musica leggera in piazza. Al termine lo spettacolo inebriante dei fuochi pirotecnici.

Fonte: www.prolocolicata.it

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